E’ nel 2011 che ho avuto l’onore di conoscere Antonio D’Elia. Anche se non ho potuto incontrarlo di persona, l’ho conosciuto attraverso la sua eredità non solo musicale ed artistica consultando le sue opere, ma anche umana e valoriale ascoltando i racconti dei figli Cecilia e Francesco,  fieri e amorevoli custodi dell’immagine paterna. Cecilia e Francesco mi hanno introdotto all’archivio delle composizioni del padre e insieme abbiamo pensato a un progetto di inventariazione, per poter approfondire e diffondere la figura di questo straordinario compositore conosciuto per pochi lavori a fronte di una produzione musicale ricchissima e varia.

Dall’inventariazione dell’archivio sono emerse più di settecento partiture,  quasi tutti manoscritte e nella quasi totalità autografe. Sin dall’inizio della mia consultazione, mi è stato chiaro di trovarmi di fronte all’archivio privato del compositore, raccolto con scrupolosa attenzione e sistematicità e per questo caratterizzato da un’impronta fortemente unitaria.  L’accuratezza con cui D’Elia ha conservato il frutto del suo lavoro è stata un elemento essenziale e prezioso anche per ricostruire la genesi di buona parte dei suoi brani.  Di una stessa composizione, infatti, spesso sono presenti nell’archivio più versioni, ciascuna corrispondente a una diversa fase di scrittura: a una primissima stesura appena abbozzata seguono una prima versione per pianoforte e poi altre stesure successive fino all’opera finita orchestrata per i vari strumenti, copiata in bella grafia a penna o, più spesso, a matita. Inoltre, Antonio D’Elia annotava sempre la data d’inizio della stesura di una composizione e quella di completamento. Risulta dunque chiaro come D’Elia lavorasse: il primo abbozzo era al pianoforte, trascrivendo le idee direttamente dai tasti alla carta, e poi seguivano diverse elaborazioni via via più raffinate, passando dalla tastiera alla scrivania.

Una volta inventariato l’archivio ho potuto procedere alla compilazione di un catalogo tematico delle opere. La suddivisione dei brani è stata fatta seguendo un criterio misto: la prima grande suddivisione è quella tra opere originali (composizioni originali dell’autore) e trascrizioni (composizioni altrui trascritte dall’autore per altro organico). Per l’ulteriore classificazione all’interno di queste due sezioni più generali, ho seguito un criterio da una parte organologico, isolando cioè il nucleo consistente di opere per banda, e dall’altro tematico, suddividendo i brani per genere. Per quanto riguarda le trascrizioni e gli arrangiamenti ho seguito un criterio ancora una volta organologico, suddividendo la sezione in due parti, l’una di trascrizioni per organico vario (compresa l’orchestra d’archi), l’altra di trascrizioni per banda.

Come testimonia l’archivio dei suoi manoscritti, la musica di Antonio D’Elia è una produzione artistica di alto livello e di ampio respiro. E’ tale non solo il nucleo più consistente formato dalle composizioni e trascrizioni per banda, ma l’insieme delle opere per altri organici. Tra le composizioni per orchestra, ad esempio, spiccano opere come il poema sinfonico Alle fonti del Clitunno del 1924, il Preludio e Danza, Notturno e Scherzo del 1923, il Poema fascista tra composto tra il 1927 ed il 1929, probabilmente sull’onda dell’entusiasmo nazionale per l’avvento del regime e poi rifiutato dall’autore che, sul manoscritto autografo, ne erade il titolo. Anche opere per così dire “minori” riservano gradevoli sorprese: piccolo ma interessante è il nucleo di opere giovanili per violino e pianoforte, come il notturno Foglie sparse (1915), Notturno, Novelletta marinaresca (1918), un abbozzo di Sonata, etc.

Le opere per banda, dal canto loro, seguono due filoni principali. Un primo filone è quello delle monumentali opere di stile sinfonico, dove D’Elia raffina la scrittura per banda portandola al medesimo livello sostanziale e sonoro di una scrittura orchestrale. A questa vera e propria “rivoluzione” concorrono  composizioni, solo per citarne alcune, come il preludio sinfonico Alla città di Venezia (1928), Intermezzo Idillico, Inno Elegiaco (1925), Il Trionfo di Bellerofonte (1924), Sui colli fatali, visione eroica (1938), il concerto per clarinetto e banda Turbine (1944), sino ad arrivare all’ultima grande opera per banda Mondo Astrale del 1958, ultima composizione di ampio respiro dell’autore.

Con la stessa sapienza e profondità  D’Elia appronta trascrizioni per banda di opere orchestrali altrui: è il caso delle trascrizioni delle musiche di Puccini (Turandot), Respighi (Belkis regina di Saba, Feste Romane, I Pini di Roma, Rossiniana, Torre di caccia, Gli uccelli), Beethoven (Coriolano, Sinfonie nn. 3, 6, 7 e 9), Brahms (Sinfonie nn. 2 e 4), Debussy (La mer), Dvorak (Sinfonia n.5 Dal Nuovo Mondo), Tschaikowsky (Sinfonia n.6 Patetica), Verdi (brani tratti dal Macbeth, Traviata e Trovatore). Anche le composizioni dei suoi conterranei della generazione a cavallo tra il XIX ed il XX secolo sono trattate dall’abile penna “arrangiatrice” di D’Elia: è il caso di opere di Petrassi, Pizzetti, Wolf-Ferrari, Giordano, Boito, Mulè.

Al secondo filone di musica per banda, invece, è possibile ricondurre opere ad uso militare. E’ il caso delle marce che, essendo in numero considerevole, sono state classificate in una categoria a sé rispettando le suddivisioni tematiche dell’autore stesso (marce trionfali, marce ginniche, marce sinfoniche, etc). Esse si differenziano dalla generica “musica per banda” perché condividono tutte, nonostante le diverse caratterizzazioni, il metro e la struttura della marcia come forma musicale.

Anche  le marce scritte appositamente per marciare (che l’autore chiama “marce militari”) sono curatissime nella struttura armonica e nell’invenzione tematica, oltre che ben arrangiate. Anche gli stessi titoli sono interessanti da scorrere, in quanto testimonianza di quel genere musicale e di quell’epoca: Armi e brio, Cinque punte, Avamposti in grigio-verde, Italica fiamma, Fremito di bandiere, Gioventù italica, Roma in Africa, Sfilano le armate vittoriose, etc.

Laddove la marcia, per volontà dell’autore, si fa “sinfonica”, pur mantenendo la sostanza della marcia si veste di un abito lirico ed “impegnato”, lasciando molto più spazio alla fantasia del compositore: è il caso di Adriatica, Irpinia, Mediterranea, etc.  Vorrei citare anche il caso singolare di Eritrea, brano degli anni Trenta,  denominata dall’autore “marcia orientale” (e qui catalogata nella sezione generale delle marce): è proprio il caso dove l’arte si appropria della forma. Della marcia rimane solo il metro, intessuto però di armonie e temi esotici che trasformano il brano in qualcosa di assolutamente particolare.

In ultimo non si può non considerare la produzione di musica vocale. Essa è stata suddivisa in composizioni profane per lo più liriche per soprano e pianoforte, e composizioni sacre (liturgiche o religiose in genere). Nel primo gruppo spiccano piccoli gioielli come le liriche Carovane (1924), Partenza (1925), Pianto Antico (su testo di Carducci), Serenità (1924), Visione, etc., accanto alle romanze come Mesto Souvenir! e Monachella.

Per uso liturgico sono invece l’Ave Maria per canto e banda (1944), il Pater Noster per canto e banda o canto ed orchestra d’archi (1944), il Salve Regina (1945), cui si affiancano lavori di mera ispirazione religiosa come il poemetto mistico Son cinque lustri (1930) e l’inno a Santa Lucia Salve Lucia purissima (1930).

Completa l’ampia produzione di D’Elia un piccolo nucleo di musiche per film e documentari. Tra queste è da citare la colonna sonora della pellicola di Gennaro Righelli Amazzoni bianche del 1936.